Anche quest’anno l’Arctic Report Card, il rapporto annuale sullo stato del Polo, redatto dal Programma climatico del National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) del dipartimento USA del commercio, fa un quadro della situazione del Circolo Polare Artico.
L’Artico è il punto-nave quando si tratta di clima.
È qui che gli effetti del Climate Change si manifestano con maggior evidenza rispetto al resto del Pianeta. E le notizie non sono buone.
IL NOAA
Le temperature nell’Artico continuano ad aumentare e, in alcuni casi, drammaticamente.
Le relazioni tra vento, suolo, mare e organismi viventi sono evidenti.
Partiamo dall’atmosfera. L’aumento dei venti e della loro forza sta influendo sulla perdita di ghiaccio marino in estate.
I ghiacciai perenni stanno cedendo il posto a ghiacciai recentissimi, annuali.
La parte superficiale degli oceani rimane calda per periodi sempre più lunghi e perde salinità.
Cade sempre meno neve in Nord America mentre aumentano le precipitazioni in Siberia.
Per non parlare delle specie animali e vegetali a rischio.
Trasformazioni più veloci del previsto, tremendamente drastiche rispetto ai rilevamenti di soli 5 anni fa.
Anche se durante l’estate appena trascorsa i ghiacci non hanno raggiunto i livelli minimi del 2007 e del 2008, non possiamo non riflettere sulla rapidità e sull’incidenza dei mutamenti appena elencati.
La stessa Jane Lubchenco del Noaa ha ricordato, nella presentazione dell’Arctic Report Card, che l’Artico è uno degli ecosistemi più fragili del Pianeta.
Una vera e propria cartina tornasole per la scienza del clima.
La concatenazione tra venti, temperature degli oceani, scioglimento dei ghiacci è evidente.
Negli ultimi anni si è formata un’anomala alta pressione sul lato artico che si affaccia al Nord America causa, l’assenza di ghiacci nel periodo estivo. Per contro, si è formata una bassa pressione verso l’area euroasiatica.
Il naturale spostamento di masse d’aria da zone di alta a zone di bassa pressione ha creato venti più caldi e prolungati spiranti da sud a nord. Il calore riversato riscalda gli oceani e scioglie i ghiacciai.
Un bel guaio.
LA NASA
Dobbiamo correre ai ripari il prima possibile. A dirlo le associazioni ambientaliste e diversi esperti del clima. Uno fra tutti James Hansen della NASA.
Hansen sostiene con forza la relazione tra cambiamento climatico e attività umana. “È necessario ridurre l’uso di combustibili fossili e in 20 anni potremmo salvare la Terra” dice. In caso contrario è lo stesso Hansen a prevedere un aumento del livello dei mari di 7 metri a fine secolo.
Una prospettiva degna di film documentari di denuncia come The Age of Stupid promosso recentemente da Greenpeace e Wwf.
In un’intervista telefonica rilasciata a Repubblica Hansen fornisce dati e cifre: “Se non diamo un taglio drastico all’uso dei combustibili fossili, i ghiacciai della penisola antartica, che attualmente perdono 200 chilometri cubi all’anno, fonderanno nell’arco di un secolo. Il che produrrà un aumento di 6-7 metri del livello del mare a cui si dovrà aggiungere in collasso dei ghiacciai in zone come la Groenlandia“.
Bisogna ridurre il consumo di combustibili fossili, primo fra tutti il carbone.
L’IPCC
E a Copenhagen?
Il capo dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) Rajendra Pachauri in vista del Summit sul clima di dicembre si è aggiunto alle già numerose richieste sul tema sollecitando i paesi industrializzati a fare il primo passo riducendo le emissioni e venendo in aiuto dei paesi più poveri che altrimenti crollerebbero nel caos.
L’ITALIA
Ma forse un primo trend positivo in Italia c’è.
Secondo uno studio dell’Università Bocconi oltre l’85% delle imprese italiane investe nell’ecosostenibilità anche come strategia vincente per superare la crisi.
La famosa Green Economy.
Orientate all’efficienza energetica soprattutto le piccole e medie imprese.
Saranno loro a salvare l’Artico?